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Cervello senza Limiti


La prima inchiesta italiana sul potenziamento cerebrale


JOHANN ROSSI MASON

Una richiesta sommessa, ma non proprio sottovoce. Dai laboratori di ricerca e dalle biblioteche delle università più prestigiose la cultura del brain enhancement, del potenziamento delle facoltà cognitive, si diffonde come un virus.
Gli studenti e i loro docenti si trasformano in soggetti ad “alto funzionamento”, capaci di scrivere un saggio per oltre venti ore consecutive senza accusare fatica. Nei corridoi delle università di mezzo mondo dal 7 al 25 per cento degli studenti percorre i corridoi con un PC portatile, un blocco per appunti e un evidenziatore in una mano, e un blister di compresse nell’altra: Adderall, Ritalin, modafinil e altre decine di farmaci promettono di aumentare la capacità di apprendimento, migliorare voti e curricula, pubblicare di più e meglio nei soggetti sani.
Nel 2006 un gruppo di docenti di Harvard effettua per la prima volta un’indagine sull’uso di sostanze nootropiche, attive cioè sul sistema nervoso e in grado di aumentare le capacità cognitive. Scoprono che il loro utilizzo è strettamente legato al mondo accademico. Nel 2008 una nuova ricerca apparsa su “Journal of American College of Health” rivela che l’uso di farmaci nei soggetti sani riguarda tra l’8 e il 34 per cento degli studenti universitari, che li utilizzano off-label, ossia fuori indicazione, e ovviamente senza prescrizione medica.
Il sistema scolastico americano è estremamente competitivo:
prevede di seguire corsi, completare compiti, pubblicare
X Prefazione studi e impegnarsi in attività extracurriculari. Il tutto in pochissimo tempo. La pressione e l’elevato costo delle università
crea una selezione naturale; è quindi d’obbligo trovare il modo di studiare di più e diminuire al massimo le ore di sonno.
I farmaci sono diventati una risposta a questa esigenza e vengono usati di solito per periodi limitati, per esempio durante gli esami o per terminare una tesi. Sbaglia chi crede che siano una scorciatoia: non fanno diventare più intelligenti, perché chi non si impegna non può aspirare a migliorare il
curriculum solo con una pillola.
È il 2011 alla McGill University quando vengono esaminati quattrocento studenti selezionati a caso: il 5,4 per cento di loro ammette di fare uso di farmaci; ma i risultati non convincono, perché i numeri sono troppo bassi. I rivenditori di farmaci che riforniscono gli studenti sottobanco ammettono
guadagni che vanno da due a cinquemila dollari a semestre e una sola pillola arriva a costare da tre a otto dollari. A questo mercato si aggiunge quello che si svolge online, ancor più florido e molto rischioso.
Un numero sempre maggiore di farmaci normalmente impiegati per trattare patologie è in grado di migliorare memoria, attenzione e concentrazione nei soggetti sani. Il Ritalin (nome commerciale del metilfenidato) negli Stati Uniti è diventato un blockbuster, con tre milioni di ricette al mese. Nato come stimolante negli anni Quaranta e poi approvato per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione (ADHD) nel 1965,
il metilfenidato ha visto aumentare le prescrizioni del 260 per cento dal 1990 al 1995, e dal 2006 al 2013 sono ulteriormente raddoppiate.
Sono ormai lontani i tempi in cui si riteneva che ognuno di noi sfruttasse solo il 10 per cento delle proprie facoltà cerebrali.
Aumentare la produttività, estendere i propri limiti per impedire alla fatica di fermarci e scrivere in maniera più efficace; questi sono soltanto alcuni dei motivi per cui le persone ricorrono ai nootropici. Spesso è la pressione sociale a chiedere un prezzo sempre più alto per ottenere il successo.
Ma i nootropici non servono solo a migliorare i voti degli studenti. Le neuroscienze hanno infatti individuato molecole che potrebbero agire sulla memoria per diminuire l’impatto di ricordi traumatici, sostanze alla base dell’innamoramento, molecole che avrebbero la capacità di migliorare la vita di persone molto timide e introverse. Inoltre, non bisogna dimenticare la diffusione degli antidepressivi, usati anche da soggetti sani.
Il mondo scientifico, in cui si trovano i principali utilizzatori (insieme a una quota sempre maggiore di manager, piloti e militari), sostiene che la società dovrebbe accettare i benefici del potenziamento, purché sostenuti da ricerche in grado di dimostrarne la sicurezza e da una regolamentazione che protegga da eventuali abusi. Da un lato si schierano gli esperti, i quali
sostengono che un miglioramento cognitivo possa portare benefici alla società, dall’altro si collocano gli oppositori, che lamentano la possibile creazione di un gap tra chi può permettersi l’uso dei farmaci e coloro che potrebbero rimanere indietro.
Negli ultimi cinquant’anni abbiamo guadagnato tra quindici e vent’anni di vita in più: oggi si diventa adulti più tardi e anche il limite biologico della terza età si è spostato in avanti.
Donne e uomini di cinquanta e sessant’anni sono nel pieno della loro carriera e i settantenni hanno davanti a loro almeno un decennio di esistenza da vivere pienamente, possibilmente liberi da decadimento mentale. Il mercato più interessante potrebbe essere proprio quello degli anziani, sui quali i farmaci potrebbero agire per rallentare l’insorgenza o la progressione di demenze, Alzheimer e Parkinson. A questo tema ho dedicato un capitolo, il quinto.
In un mondo sempre più competitivo l’uso individuale di sostanze sarà la norma, probabilmente tra vent’anni assumeremo le nostre pillole cerebrali assieme al primo caffè della mattina. Oppure, se avrà la meglio il fronte proibizionista, ci saranno controlli prima degli esami, affinché i soggetti trovati positivi vengano esclusi e sanzionati.
Questo libro è il frutto di un lavoro iniziato oltre quattro anni fa, che ha previsto la lettura e l’elaborazione di centinaia di studi, saggi e articoli. Rispetto all’uso di queste sostanze non si esprime qui un giudizio, ma l’intento è quello di fotografare un fenomeno e raccontarlo nelle sue implicazioni. Non è quindi un saggio che vuole sostenere una tesi, ma piuttosto un lavoro giornalistico, sia pure esteso e ampiamente documentato.
Per chiarezza, si precisa che nessuno dei capitoli è stato scritto sotto l’effetto delle sostanze di cui si parla, anche se durante alcune notti, in cui il sonno era più forte della volontà della sottoscritta, ho agognato un aiuto.

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