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Medici cubani: riflessioni sul valore di un incontro e sulla condivisione delle esperienze

Malgrado il fatto che, in questa estate 2024, il virus SARS-CoV-2, in arte Covid19, riesca ancora a far parlare di sé per i rischi connessi alla diffusione di una sua ennesima mutazione – la variante Kp3 -, ci sembra utile proporre una riflessione su alcuni aspetti –non necessariamente scientifici – riguardanti l’insieme della vicenda pandemica.

Quella del Covid19 non è stata di sicuro la prima sfida epidemica su scala mondiale con la quale ci siamo dovuti confrontare negli ultimi anni – basti pensare ai tragici esiti della diffusione dell’AIDS -, ma di sicuro è stata la prima epidemia “global” della nostra storia, ovvero la prima generatasi in un mondo nel quale i fattori economici e demografici fanno sì che tutti gli eventi finiscano per implicare l’intera popolazione mondiale. La differenza, non risiede unicamente nella velocità e nell’espansione geografica della diffusione di un virus – nel linguaggio comune da Epidemia a Pandemia -, ma anche e soprattutto nella produzione e trasmissione dell’informazione e, purtroppo, della disinformazione. Tra le tante cose nuove davanti alle quali ci ha messo la vicenda del Covid19, quindi, c’è anche e soprattutto quel continuo rumore di fondo generato dal mondo dei social network ma anche dagli stessi media tradizionali – digitali o analogici – rivelatisi ben poco responsabili rispetto alla loro funzione sociale, e rispetto ai rischi potenziali di una così reale e angosciosa minaccia per la salute e la sopravvivenza dell’intera popolazione mondiale.

Il tema è ovviamente troppo complesso per essere analizzato nei limiti in questo spazio, tuttavia un esempio può aiutarci a contestualizzare, rendendola meno generica, la riflessione che vogliamo proporre.

Il 22 marzo 2020, atterrano all’aeroporto della Malpensa 37 medici e 15 infermieri cubani della Brigada Henry Reeve, inviati dal governo caraibico in soccorso dei medici italiani, poiché proprio l’Italia, e la sua regione più ricca e popolosa, la Lombardia, finiscono per diventare il primo focolaio occidentale – quello rivelerà al mondo intero il suo tragico potenziale – del virus Covid-19. Per poco più di due mesi, alloggiati a Crema, ovvero nelle immediate vicinanze dell’area maggiormente colpita, offriranno ai loro colleghi italiani il loro aiuto nella gestione dell’emergenza con l’esperienza maturata per 15 anni in altre situazioni di pericolo epidemico nei più diversi contesti socio-sanitari.

Si narra che fu il Líder Máximo in persona, Fidel Castro, a voler istituire, nell’Agosto del 2005, una équipe di circa 1500 medici specializzati in gestione delle emergenze, i cosiddetti First Responders. Si narra che fu sempre Castro in persona a voler chiamare Brigada l’unità di medici venutasi a costituire – scegliendo quindi un termine più fedele all’ortodossia della revolución che alle nomenclature condivise dalla comunità scientifica internazionale, – e ad intitolarla ad Henry Reeve, giovane eroe Unionista (cioè antischiavista) ai tempi della guerra di secessione, alla quale partecipò volontario non ancora quattordicenne, e che, in seguito, deciderà di unirsi ai movimenti indipendentisti cubani che integrò nel 1869. A Cuba, il giovane e prode presbiteriano diventò El Inglesito e si distinse dentro e fuori il campo di battaglia, fino a divenire Comandante de Brigada (appunto), nel 1873 e a trovare per sua stessa mano la morte (pur di evitare la cattura) nel 1876 a soli 26 anni.

La storia è sicuramente avvincente, così come fu sicuramente astuta, in ottica diplomatica, l’idea di Fidel Castro di assemblare un gruppo di medici capaci di mostrare al mondo intero l’eccellenza del sistema sanitario cubano e di farlo proprio durante la crisi generata negli Stati Uniti dal devastante passaggio dell’uragano Katrina in Louisiana. Furono quindi proprio gli Stati Uniti, i primi a vedersi offerti i servigi e l’aiuto della Brigada.

Il progetto cubano andò avanti per la sua strada, i medici caraibici davvero hanno saputo distinguersi in scenari difficili quali, ad esempio, quello dell’epidemia di Colera ad Haiti nel 2010 e quello dell’epidemia di Ebola in Liberia e Sierra Leone nel 2014.

Un parere scientifico serio, che metta in luce le qualità e le debolezze della formazione e della ricerca in campo medico all’interno di un contesto sociopolitico socialista, come quello cubano, appunto, e che sappia metterle a confronto con le qualità e le debolezze della stragrande maggioranza degli altri sistemi sanitari, quello dei paesi liberali, supera largamente le competenze di chi scrive.

Tuttavia, in conclusione, si vuole affermare il valore sicuro di un elemento, quello dell’incontro tra operatori in campo medico. La Brigada Henry Reeve, nei suoi quasi 20 anni di vita, e già prima del suo arrivo in Italia, si era guadagnata sul campo il credito necessario per entrare a far parte di progetti internazionali promossi dall’OMS, ad esempio avevano coordinato tra il 2013 e il 2018 uno studio volto a ridurre la mortalità infantile tra le popolazioni indigene del Nord del Brasile, e già più di mille medici che ne avevano fatto parte si erano visti offrire (e avevano accettato) un permesso di soggiorno permanente per lavorare e vivere in diversi paesi del mondo, più della metà negli Stati Uniti d’America. Non abbiamo tuttavia la capacità del loro apporto reale nel periodo della crisi italiana, gli stessi operatori del settore probabilmente lo staranno ancora valutando, o almeno ce lo auguriamo, perché confidiamo che nell’incontro tra gli operatori italiani e quelli cubani, pur nell’emergenza, si possa individuare un’acquisizione di conoscenza che ci lasci, assieme a tanti brutti ricordi, un valore da cui ripartire alla fine di una vicenda tragica come quella del Covid-19 in Italia.

È una riflessione che porta a conclusioni che potrebbero suonare come banali ovvietà, ma tra gli entusiasti proclami che pretendevano di candidare i medici cubani al Nobel e i detrattori che polemizzavano sulle spese di viaggio e mettevano in guardia sui pericoli di spionaggio industriale nell’accogliere medici e infermieri cubani, forse ricordare che quella medica è una scienza euristica, ovvero basata sull’esperienza clinica e la condivisione delle conoscenze, cose che nascono entrambe da incontri e contatti (tra medici e ammalati e tra operatori) è un’ovvietà che è importante ricordare ogni tanto.

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